Appunti sulle relazioni

di Gastone Redetti

Credo di avere già espresso nella corrispondenza con Adriana qualche perplessità su un parlare di relazioni che non includa le relazioni cardinali della vita, cioè le relazioni d’amore a breve o lungo termine, con figli o senza figli, che siano donna-uomo, donna-donna o uomo-uomo. Dico questo non per polemizzare, personalmente non credo molto nel valore del conflitto (spero che anche questo non suoni polemico), ma solo per segnare i limiti in cui mi muovo.
Ho riletto gli appunti che Adriana mi ha mandato: quelli di Gianni Ferronato, suoi e di Marco. Sarei stimolato da vari punti esposti, ma per il momento vorrei andare avanti un po’ testardamente con un mio discorso. Poi vediamo.
Mesi fa Adriana mi ha mandato il libro “Il posto vuoto di Dio”, su cui ho poi scritto una recensione. Il libro mi aveva avvinto per l’intensità della ricerca e molto interessato anche perché vedevo agire e interagire questo gruppo di Identità e Differenza (o almeno un suo nucleo), che proprio non conoscevo. Nella recensione avevo evidenziato il fatto che Adriana e Marco erano l’unica coppia, e che la loro interazione mi sembrava qualcosa che smuoveva il funzionamento di tutto il gruppo.
Quello che non ho sottolineato, è che tutti/e gli altri/e, a parte le suore, condividevano la propria vita con un partner che rimaneva abbastanza estraneo a quel dibattito che, almeno in partenza, risultava di bruciante interesse. Qui dibatto, discuto, ascolto, poi torno a casa e parlo un’altra lingua, condivido luoghi e abitudini con una persona che ha poco a che vedere con il mio vero interesse. Ma fino a che punto è vero, coinvolgente anche per me, quell’interesse?
Il mio modo di intendere la relazione, nella mia vita, è stato diverso da quello che in generale, e con sfumature diverse, voi, mi sembra, intendete. Non ne parlerò qui. Anche ad Adriana ho promesso di rispondere ad alcune sue domande precise, ma non subito.
Ci sono un sacco di aspetti su cui si può riflettere e discutere a proposito delle relazioni affettive (o disaffettive!) importanti e portanti.
Qui ne scelgo uno, molto limitato: l’innamoramento maschile.
Non intendo la coppia innamorata, né l’innamoramento femminile, che per me sarebbe anche molto difficile definire, ma proprio l’evento di un uomo, di solito giovane o anche giovanissimo, che si innamora di una donna.
Non mi riferisco alle concupiscenze improvvise e fortissime, che pure accadono e portano in certi casi alla violenza.
L’innamoramento di cui parlo è pre-sessuale, anzi di solito provoca un abbassamento temporaneo della sessualità. E’ come un calore interno, un desiderio di presenza e un senso di felicità intensa al solo pensiero della persona. Credo, anzi spero, che non si tratti di una esperienza così rara.
L’innamorato intuisce un di più nella donna. Non è infrequente che, in effetti, questa sia maggiore di età, o che comunque abbia uno “spessore” maggiore, dovuto all’esperienza e magari alla sofferenza. Credo che in letteratura possiamo trovare tante descrizioni di questa disparità.
Questo di più l’innamorato lo manifesta, lo pratica. Tende a comunicare ad altri i suoi giudizi “non obiettivi”.
Si dice, nel migliore dei casi, che l’innamorato stravede per la donna, la idealizza. Ci sono tante espressioni e gesti che ridicolizzano questa situazione: “hai le fette di salame sugli occhi “, “sembri il suo cagnetto” ecc. La donna innamorante sarà a volte giudicata e condannata con leggerezza, una manipolatrice, una sirena ecc.
L’innamorato è in uno stato di rapimento. Che una donna sia innamorata in questo modo socialmente va bene, anzi è un suo strano dovere, di essere innamorata. Dà potere all’uomo.
Alla donna non si deve dare potere. I matrimoni non sono più combinati, ma resta la pressione delle famiglie perché le scelte importanti non siano basate sull’innamoramento dell’uomo. Che deve “farsi una posizione” e poi, o nel frattempo, procurarsi una fidanzata, normalmente più giovane, apparentemente acquiescente e disposta ad accettare lui come un “maestro”, uno che ne sa di più.
Fin che c’è stato il servizio di leva obbligatorio, in molte famiglie si dava per scontato che un ragazzo avrebbe avuto da militare la sua iniziazione sessuale. Avrebbe scoperto che si può andare a puttane, riducendo il pericolo di incappare poi in qualche attrazione fatale, in una donna non gradita alla famiglia.
I coetanei hanno una gran parte nello scoraggiare la sopravvalutazione dell’oggetto d’amore (che io preferisco chiamare soggetto innamorante).
Alcuni uomini, in quanto padri, si sentono in dovere di instillare il disprezzo della donna nel figlio maschio fin da bambino. Un mio antico conoscente propinava al figlio in età scolare giornalacci che a quei tempi erano al limite della pornografia perché il piccolo si abituasse presto a vedere le donne “per quello che sono” o meglio l’amore per quello che è. Penso che lui, che tra parentesi era un uomo intelligente, abbia avuto delle importanti sofferenze amorose da giovane. Io ero parecchio più giovane di lui, e non ho mai approfondito. Come risultato di quell’educazione sentimentale, il figlio aveva un grave ritardo scolastico e non solo.
L’innamoramento maschile suppone un certo grado di sottomissione alla donna, che io intendo come correzione parziale dello strapotere patriarcale.
Di qualcosa del genere aveva parlato Engels tanti anni fa a proposito dell’amor cortese, ma mi sembra che il suo discorso non sia mai stato ripreso.
Dell’innamoramento maschile mi sono già occupato in passato sia in riferimento a testi della letteratura (fra altri per esempio L’amore di Lancillotto, articolo di Miopia già ripubblicato online, e un articolo su L’idiota di Dostojevsky non ancora ripubblicato), sia a uomini storici che hanno avuto innamoramenti singolari, molto anomali e anche molto condannati, come Stuart Mill o Karl Varnagen.
Personalmente, ma proprio personalmente e senza pretese “normative”, vedo l’innamoramento maschile come l’unica forza istintuale profonda che può permettere a un uomo di accedere in autenticità alla dimensione dell’altra, di offrirsi senza “comprare”, senza fare valutazioni di mercato. Esponendosi, sbilanciandosi, rinunciando agli equilibri in cui si trova, cercando un equilibrio diverso.
Certamente è rischioso. Se, come credo, l’innamoramento è una delle poche situazioni in cui può funzionare la facoltà dell’intuizione in un uomo allo stato attuale della cultura, resta il fatto che nessuna intuizione è infallibile. Si può cadere e farsi male. Però si dovrebbe rialzarsi e dire grazie, ho avuto un’occasione in più per conoscere me stesso.
Il rischio poi è doppio. Si può cambiare un equilibrio e fermarsi a metà, e rovinare la vita a una donna. Quest’anno un lontano conoscente più anziano di me mi ha scelto per confidente per qualche strano motivo, sarà magari per un’aura numinosa conferitami dalla vedovanza recente. Lui ancora si tormenta per “la colpa” di avere amato la moglie, con cui aveva avuto rapporti problematici, imputabili credo alla totale, offensiva non-accettazione della ragazza da parte di una famiglia anche ideologicamente molto compatta.
Ho guardato un vecchio film, Innamorarsi, con Meryl Streep e Robert De Niro, che non avevo mai visto, sull’onda dei pensieri sull’innamoramento e pensando di trarne una recensione “ragionata”, per la quale però il film è risultato un po’ povero.
Il film tratta di un innamoramento di coppia, reciproco e praticamente simultaneo. Una cosa che risulta ben descritta è il carattere pre-sessuale, preliminare dell’innamoramento.
Tiro fuori questo film perché quello che non si capisce, che non è spiegato, è la crisi delle coppie da cui provengono.
O meglio, lei, si capisce. Perché lei è affettuosa, amorosa, amante. Il marito è freddo, anche un po’ arrogante, e sembra negarsi sessualmente. Si capisce l’insoddisfazione. Però, perché l’ha sposato?
Lui, si capisce meno. La moglie è amante e attraente. Vengono addotti motivi banali, come i bambini che irrompono nella stanza la mattina di Natale presto disturbando una possibilità di amore.
Ma perché le coppie decadono? Perché si banalizzano?
Perché quando lui (nel film) alla fine confessa a sua moglie “non sono più innamorato” , lei risponde “e chi lo è più?”. Altra confusione, questa, perché la relazione amorosa non è l’innamoramento.
Perché le relazioni amorose non prendono, non crescono?
Perché le donne, come dovrebbe essere ormai stranoto, lamentano una sofferenza per la mancanza dell’amore maschile, se non perché il matrimonio radica nel patriarcato? di cui è parte, secondo me, anche la negazione o rimozione dell’innamoramento maschile.